Lo sciamanesimo di Carlos Castaneda
di Gianfranco Bertagni – 03/01/2006
Fonte: gianfrancobertagni.it
Dato che dobbiamo spiegare un po’ la filosofia presente nelle opere di Castaneda e dato che questo quindi è un tentativo improbo da farsi nell’arco del breve spazio di una conferenza, facciamo pochi preamboli e cominciamo subito col dire che per don Juan, il maestro di Castaneda, la realtà è costituita da energia. O meglio, da campi di energia, che a volte vengono chiamati “le emanazioni dell’aquila”. Queste emanazioni – sono innumerevoli – si raggruppano in fasce tra loro e ogni fascia costituisce un mondo a sé. Solo due di queste fasce sono percepibili all’uomo: quella che raggruppa la vita organica e quella che raggruppa strutture senza coscienza: minerali, gas, liquidi, ecc.
All’interno della banda di emanazioni degli esseri organici vi è una frangia particolare, la banda dell’uomo, che determina gli stretti limiti della percezione del conosciuto. Quando una persona non allinea perfettamente tutte le emanazioni della banda dell’uomo, vi sono delle variazioni nelle capacità di percezione: in questo senso sono spiegate sensibilità speciali, percezioni extrasensoriali, genialità, ritardi mentali, stupidità, ecc.
Ciò che è normalmente conosciuto, che fa parte delle emanazioni normalmente allineate, prende il nome di tonal, detto anche il lato destro. Poi ci sono un gran numero di emanazioni che fanno parte della banda dell’umanità, ma che restano di solito ignorate da essa: esse sono l’anticamera dell’ignoto.
Le emanazioni che si trovano invece al di là della banda dell’umanità costituiscono il vero e proprio ignoto. Esse sono il nagual, detto anche il lato sinistro, o la realtà separata.
Bene, abbiamo detto che la realtà che ci appare è determinata dall’allineamento tra le varie emanazioni. Ma cos’è che determina quali emanazioni saranno selezionate nel momento della nostra percezione? Viene chiamato “punto d’unione”. La posizione del punto d’unione fa sì che il punto allinei certe bande di emanazione e non altre e alcune emanazioni specifiche all’interno della banda e non altre. Allora ciò che noi percepiamo come il nostro mondo quotidiano è data dalla usuale posizione del punto di unione, il quale a sua volta produce un allineamento particolare delle emanazioni. Se quindi il punto di unione viene spostato, ciò provocherà l’allineamento di emanazioni della banda dell’uomo che solitamente sono scartate. Un ancora più elevato spostamento del punto di unione produrrà l’allineamento di altre bande di emanazioni.
Il lavoro di Castaneda è stato quello di spostare il punto di unione per uscire dagli angusti limiti della percezione ordinaria. E l’insegnamento di Don Juan era teso tutto a realizzare questo spostamento, e si divide in due grandi aree: le lezioni per il lato destro (dette anche ‘arte dell’agguato’) e quelle per il lato sinistro (chiamate ‘arte del sognare’).
La nostra facoltà comune cui diamo il nome ‘attenzione’ è quella che screma le emanazioni allineate, raggruppando quelle utili e scartando le altre, e dando quindi senso e ordine ad ogni percezione. Ma in realtà l’attenzione così come noi la conosciamo è quella che Castaneda chiama ‘prima attenzione’; ve ne sono altre due. La ‘seconda attenzione’ opera e mette ordine nella sfera dell’ignoto e la ‘terza attenzione’ integra le due precedenti, permettendo di penetrare nell’inconoscibile. Nella fase iniziale dell’addestramento del ‘guerriero’ la prima attenzione riveste un ruolo fondamentale: è attraverso l’uso strategico e specializzato di essa che il guerriero potrà accedere alla seconda attenzione.
Il modo in cui la prima attenzione gestisce le informazioni e le seleziona è dovuto alla pratica di tutta una vita e i tratti fondamentali vengono assunti dai primi anni di vita. In che senso? Alla nascita un bambino ovviamente non percepisce il mondo nello stesso modo degli adulti. Cioè la sua attenzione non è ancora diventata quella che sarà la prima attenzione, quindi non condivide il mondo percettivo di coloro i quali hanno questo tipo di attenzione già formato. Ancora – il bambino – non seleziona e organizza le emanazioni nel modo in cui lo fanno gli adulti. Lo farà, ma pian piano, assimilando col tempo la ‘descrizione del mondo’ che gli adulti gli propongono. Ogni adulto, inconsapevolmente, quando si avvicina ad un bambino si trasforma in un maestro che gli propone la sua visione del mondo, che è poi quella dell’umanità. Prima il bambino non capisce, perché non percepisce il mondo negli stessi termini, ma poi assimilerà la descrizione e comincerà a percepire la realtà attraverso la descrizione che gli è stata fatta. È questa descrizione che determinerà il modo in cui la percezione selezionerà e organizzerà i campi di energia. Poi, diventati adulti, il fluire continuo di quel tipo di descrizioni da infiniti punti della realtà che viviamo, non farà altro che confermare e sostenere il tipo di percezione a noi familiare. È come una gabbia, una prigione: non possiamo pensare altrimenti, siamo costantemente addestrati e invitati a percepire in un certo modo e solo in quello.
Ora, però, se questo flusso, se questa descrizione venisse sospesa, la realtà da essa creata crollerebbe: è ciò che Castaneda chiama ‘fermare il mondo’. Il ‘vedere’ di cui parla don Juan è proprio la capacità di percepire il mondo nel modo in cui esso si rivela una volta interrotto il flusso della descrizione.
Abbiamo capito dunque che la descrizione del mondo non è qualcosa che ci è puramente esterno, ma che con il tempo noi inconsciamente interiorizziamo, facciamo nostra. La descrizione del mondo ci entra dentro, fa parte di noi stessi ed è costantemente ravvivata dal cosiddetto ‘dialogo interno’. Il dialogo interno è come un guardiano che protegge costantemente la descrizione del mondo che abbiamo imparato dagli altri. Il nostro dialogo interno, attraverso i pensieri e attraverso il ‘fare’ che questi pensieri producono, alimenta la descrizione del mondo. Cioè a causa delle cose che ognuno racconta a se stesso, percepiamo il mondo nel modo in cui siamo soliti farlo e ci comportiamo di conseguenza. Così succede che il mondo viene sostituito dai nostri pensieri: noi non abbiamo un rapporto diretto con esso, ma lo fruiamo attraverso i discorsi che ci facciamo riguardo ad esso: ci raccontiamo che il mondo è in un certo modo e scambiamo questo per realtà. Tutto ciò ha fine ovviamente quando riusciamo a interrompere il dialogo interno. La capacità di fermare il dialogo interno è chiamata da don Juan la chiave del mondo degli stregoni.
Detto questo, come è possibile bloccare la descrizione del mondo? Attraverso azioni estranee alla descrizione stessa, che sono chiamate ‘non fare’. Il ‘fare’ raggruppa tutte quelle azioni ordinarie, la serie dei nostri comportamenti, che ci sono provocati dalla descrizione del mondo. Le nostre azioni emanano da questa descrizione e – contemporaneamente – la convalidano. Ogni azione – invece – che non sia coerente con la descrizione del mondo o di noi stessi costituisce il ‘non fare’ (ho detto anche di noi stessi: anche l’idea che abbiamo di noi stessi, dell’io, di ciò che esso sia, delle sue funzioni, delle sue capacità e possibilità, anche tutto questo fa parte della descrizione del mondo). Quindi il non fare interrompe la descrizione del mondo, sospende il fare del mondo conosciuto. Quindi il non fare è il mezzo che apre il cammino verso il lato ignoto della realtà e di noi stessi. Perché interrompe anche la descrizione della nostra persona, liberandoci quindi dall’incantesimo dell’ego, che ci vuol far credere di essere lui a costituire la nostra unica realtà. Ci riconosciamo quindi come esseri fluidi, liberi, campi di energia. È l’accesso al nagual.
Ora, per quanto riguarda le tecniche, concentriamoci sulle tecniche per il lato destro. Perché è necessario passare per il lato destro per accedere poi al lato sinistro: alla realtà separata (il lato sinistro) ci si arriva solo dalla realtà ordinaria (il lato destro).
Allora, abbiamo visto che l’energia è un’idea centrale nel sistema di Castaneda. L’energia presente in un uomo costituisce il suo ‘potere personale’ e l’uomo è soltanto la somma del suo potere personale. Il fatto è che l’energia a disposizione dell’uomo viene pressoché esaurita nel compiere le nostre azioni quotidiane, azioni abitudinarie che sono determinate per ognuno dal proprio passato. Quindi non resta energia per l’incontro con l’ignoto. Allora per realizzare qualcosa di completamente nuovo rispetto alle nostre consuetudini è necessaria nuova energia.
Quindi il guerriero regola tutto quello che fa in base all’energia. Cioè sa di essere costituito di energia e che tutte le sue azioni si riverberano sulla sua disponibilità di energia: o la fortificano o la indeboliscono. Ogni azione deve essere tesa alla fortificazione dell’energia o al limite al mantenimento di essa, mai alla perdita: questo costituisce quella che Castaneda chiama ‘l’impeccabilità’ del guerriero. Impeccabilità vuol dire uso ottimale dell’energia. Il guerriero non agisce più mettendo al centro delle questioni il suo ego, ma la sua energia. Irritazione, cattiveria, urla, minacce, sentirsi offesi, attaccare, temere gli altri, piangere, e chi più ne ha più ne metta: tutto questo ha come centro l’ego e come funzione quella di fortificarlo, di confermarlo; ma da un punto di vista energetico, tutto ciò e molto altro ancora è da rigettare senza se e senza ma. Tutti gli stati che privano di energia sono da aborrire: questa è la regola del guerriero.
Dunque, possiamo riassumere alcune aspetti:
Tutto quanto un essere vivente fa e tutto quanto gli accade, è determinato dal suo livello di energia, cioè dal suo potere personale;
Il livello di energia di una persona dipende da tre fattori: la quantità di energia con cui è stato concepito, la maniera in cui ha incrementato o diminuito tale energia e il modo in cui la usa nella sua vita presente;
Il modo in cui un uomo comune usa la sua energia non è determinato dal caso o da una scelta libera, ma dal suo passato;
Anche se gli uomini di solito consumano la loro energia eseguendo quelle azioni abitudinarie dettate dalla loro storia personale, possono realizzare i seguenti cambiamenti: ricanalizzazione dell’uso dell’energia, risparmio dell’energia, incremento dell’energia.
Queste regole si commentano da sole, credo. Spendiamo almeno due parole riguardo al terzo punto. Tutto è determinato dalla nostra storia personale: classe sociale, nazionalità, sesso, carattere, personalità, religione, ideologia politica, complessi e traumi, sono solo alcuni esempi della quantità sterminata di dettagli che configurano la storia personale e che determinano il nostro vivere quotidiano. Quando quindi noi pensiamo di agire liberamente, di scegliere, in realtà non stiamo facendo altro che compiere azioni per le quali il nostro passato ci ha programmato. Noi crediamo di scegliere con chi parlare, quali luoghi frequentare, quali evitare, ma in realtà in queste apparenti scelte c’è solo la storia personale, la quale si esprime ovviamente nella struttura del nostro ego. L’ego è l’espressione operativa della storia personale. Quindi le nostre scelte sono assai limitate, sono ristrette entro la piccola cornice rappresentata dalla proiezione della nostra storia personale nel presente. Questo conduce ad uso scriteriato della nostra energia, logorante e poco gratificante.
Allora, l’energia va ricanalizzata. Torniamo alla questione del non fare, cioè al compiere azioni che fanno parte delle nostre possibilità, ma che ci sono completamente inusuali, come se con queste azioni noi ci ponessimo al limite delle nostre possibilità. Queste azioni, che compiamo consapevolmente senza alcuna finalità (appunto: ‘non fare’) non nascono dunque dal nostro condizionamento del passato, e hanno come effetto di aprire poco a poco il nostro campo di possibilità. Cioè a forza di compiere azioni insolite, creiamo uno specie di scompenso nei nostri modelli d’uso dell’energia, i quali quindi si indeboliscono. Così noi potremo ricanalizzare l’energia verso usi meno logoranti, e questo causerà una produzione in eccesso dell’energia. Esempi se ne possono fare a iosa: smettere di fumare, di bere, di arrabbiarci, guardare un albero per molto tempo (es. dell’esercizio di Castaneda). Le nostre possibilità di vita e di percezione si amplieranno sempre più, fino ad arrivare a eliminare la tendenza ad agire secondo la storia personale.
Ma la cosa essenziale prima di tutto è il risparmio di energia. Per questo i guerrieri stilano un inventario personale del dispendio di energia. Da questo inventario il praticante può selezionare le azioni che non gli sono indispensabili e che sono particolarmente dispendiose e distruttive della propria energia, e lavorare così ad eliminarle temporaneamente o definitivamente.
La tecnica ritenuta da Castaneda la più importante per aumentare energia è quella che egli chiama la ‘ricapitolazione’. È una pratica molto ardua, che può durare tutta una vita. Consiste nel recupero di tutte le esperienze passate: i luoghi in cui siamo stati, le persone che abbiamo incontrato, le situazioni che ci hanno segnato, formato, turbato, ecc. Deve essere un uso del ricordo distaccato: non deve intervenire l’ego con le sue interpretazioni, altrimenti ricadiamo nella nostra storia personale. È la prima tecnica da usare per chi voglia seguire un processo di autoliberazione. Ed è una tecnica che porta a muovere il punto di unione. Avere realizzato la ricapitolazione ci porta a vivere il presente da un altro punto di vista, finalmente non più attanagliati dalla nostra storia personale. Ognuno di noi è legato a cose legate al passato attraverso filamenti della propria energia e questi filamenti rischiano di rimanere agganciati ad esso per tutta la nostra vita. In questo caso non riusciremo mai ad intraprendere nulla di nuovo veramente. La ricapitolazione porta invece alla liberazione da tutto ciò. Insomma, la ricapitolazione permette il recupero dell’energia persa lungo il cammino.
Le altre tecniche che fanno parte dell’arte dell’agguato, cioè le lezioni per il lato destro, hanno tutte come scopo quello di eliminare l’importanza personale, di scalfire l’ego, di destrutturare la storia personale. Possiamo Enumerarle velocemente, commentandole velocemente.
Il ‘piccolo tiranno’. Siamo più o meno sempre circondati da piccoli tiranni. Don Juan definisce il piccolo tiranno con queste parole: “è un torturatore, qualcuno che ha il potere di vita e di morte sui guerrieri, o che semplicemente rende loro la vita impossibile”. Il tiranno è quello che vampirizza la nostra energia attraverso innumerevoli attacchi: chi ci fa rattristare, chi ci fa innervosire, che ci spaventa, chi ci mette in apprensione, chi ci tratta brutalmente o con violenza, chi è scontroso. Tutte queste persone ci distruggono lentamente, sono dei veri e propri tiranni nei nostri confronti. Ma dall’altra parte sono anche i nostri più grandi maestri, dice Don Juan. Grazie a loro possiamo affinare le nostre tecniche da guerrieri. Essenzialmente sono due le ‘virtù’ che possiamo fortificare in loro presenza: l’eliminazione della nostra importanza personale e l’impeccabilità. Per quanto riguarda il primo aspetto, lo avvicinerei all’idea cristiana di umiltà. Ma non è solo umiltà: è anche la consapevolezza che fino a quando ci diamo troppa importanza, per prima cosa sprechiamo energia per qualcosa di abbastanza inutile, e poi continuiamo a identificarci con quello che crediamo di essere, privandoci della possibilità di accedere ad altri piani di esistenza. Poi, riguardo all’impeccabilità di cui abbiamo già parlato, il tiranno ci costringe, se non vogliamo essergli succubi, a mantenerci in una situazione di controllo di noi stessi, di disciplina, di distaccata sopportazione: tutti atteggiamenti indotti dalla viva consapevolezza che la nostra energia non ci deve essere sottratta gratuitamente, che l’energia è il nostro unico carburante, che senza energia non potremo cambiare mai. Un guerriero quindi potrà essere danneggiato, ma non offeso; potrà essere colpito, ma non umiliato.
Altra tecnica che Don Juan ha imposto più volte a Castaneda riguarda quella delle false apparenze, dei travestimenti, del fare la parte di qualcun altro, del travestirsi addirittura da donna. Il significato è sempre quello di prendere le distanze dall’illusione di avere un ego definito e immutabile. È una modificazione della percezione di se stessi, quindi uno spostamento del punto di unione. È un’esperienza molto conosciuta dagli attori di teatro o di cinema: si arriva ad un punto in cui ci si chiede: “Ma chi sono io?”. Perché succede qualcosa di molto strano: nel momento nel quale mi vesto come un altro, assumo certi comportamenti, certe usanze, certi modi di dire completamente nuovi, comincio ad entrare nella parte. Non è un semplice imitare, ma diventa un identificarsi. Più pratico e più mi identifico. Non sono più io, sono qualcos’altro e mi sento qualcos’altro: lo sono realmente. E allora quello che ero prima? Possibile che basti cambiarmi d’abito, usare parole diverse, mangiare piatti nuovi, muovermi diversamente, ecc., per dimenticarmi della mia storia personale? Eppure è così: quindi si comprende via via che l’ego è un’illusione, un agglomerato di contingenze che possono mutare. Un’altra tecnica che Castaneda usava ogni tanto e che possiamo raggruppare con queste è quella di cambiare luogo di residenza, cambiando quindi le persone da frequentare, i posti, cambiando anche il proprio nome: è cioè sempre una tecnica per non fossilizzarsi nella identificazione con noi stessi. Anche le persone che frequentiamo di solito, i luoghi nei quali camminiamo, ci identificano, ci riconfermano nella nostra consapevolezza di noi stessi. Quindi cambiare tutto questo vuol dire distanziarci da questa identificazione, viverci in un modo diverso, scoprendo cose nuove di noi stessi e dell’uso della nostra energia
Altra tecnica che Castaneda a volte usava era quella di guardare gli altri, le altre persone come dei tonal. Cioè lui riusciva a vedere le persone come uova di luminosità, campi di energia. È ovvio che questa tecnica non è da tutti. Ma il preambolo ad essa, che tutti possono cercare di realizzare, è quella di guardare gli altri senza giudicare. Cioè guardare gli altri nelle loro attività quotidiane, nei loro mestieri, nelle situazioni più diverse (in autobus, in stazione, per strada, al mercato…), facendo in se stessi un silenzio interiore. Cioè guardarli, cercare di ‘sentirli’, ma con atteggiamento rilassato, evitando di giudicare, di speculare sul loro aspetto, sui gesti che fanno. In questo modo si ‘sentono’ le persone diversamente, ci rivelano cose nuove. Non so chi di voi si è mai guardato allo specchio per un certo numero di minuti, cercando di realizzare con i propri occhi uno stato di semi-catalessi (un po’ come quando diciamo di una persona che si è addormentata ad occhi aperti): il vostro viso cambia aspetto, poi se spostate lo sguardo sulle spalle vedete una certa luminosità bianca.
Un’ultima tecnica del lato destro cui voglio accennare è quella della morte come consigliere. Ci immaginiamo eterni e per questo agiamo e pensiamo come se non esistesse la morte. Invece il guerriero lo sa bene: la morte è la sua consigliera. Sa di essere solo un uomo ed agisce sempre con questa consapevolezza: morirò. Allora tutto cambia: egli agisce come se quel che sta facendo fosse l’ultimo suo atto. Pensare alla morte riduce tutti i problemi, li ridimensiona, crea una gerarchia di priorità del tutto nuova. Le cose si fanno nebulose? Il guerriero pensa alla propria morte. Vuole temprare se stesso? Pensa alla propria morte. Tutto ciò che è toccato dalla morte diventa potere. Solo l’idea della morte dà a un guerriero il distacco necessario a consentirgli di abbandonarsi. Sa che la morte lo aspetta e che non gli darà il tempo di aggrapparsi ad alcunché; per questo sperimenta, senza desiderarla, ogni cosa. Don Jaun dice a Castaneda: “La morte è la nostra costante compagna. Ogni qualvolta sente che tutta va male, e che sta per essere annientato, il guerriero può rivolgersi alla morte e chiederle se è davvero così. La morte gli risponderà che si sbaglia, e che al di fuori del suo tocco nulla ha importanza”. In un mondo in cui la morte è il cacciatore, non c’è tempo per dubbi e rimpianti: c’è solo il tempo per le decisioni. La morte ti porta alla decisione estrema, al considerare ogni tua azione, ogni momento come estremamente decisivo e quindi da vivere con impeccabilità. Senza la consapevolezza della morte tutto diventa comune e banale. Il mondo è un mistero incolmabile per il guerriero proprio perché la morte lo attende, perché essa è sempre con lui.
Ora alcune tecniche per il lato sinistro.
Cominciamo con la cessazione del dialogo interiore, di cui abbiamo parlato all’inizio. Ricordiamo che il dialogo interiore è una delle cause della perpetuazione del nostro ego: dico a me stesso, attraverso pensieri, riflessioni, ecc., sempre quello che sono, come sono fatto, i miei pregi, i miei difetti, le mie opinioni, i miei ricordi. Cioè mi ingabbio attimo dopo attimo nella descrizione del mondo, in questo caso di quella parte della descrizione che è il mio ego. Allora don Juan costringeva Castaneda a delle pratiche finalizzate alla cessazione di questo dialogo.
Enumero velocemente alcuni esercizi. Seguire l’orma. Camminando per le foreste del Messico, Castaneda doveva mettere i piedi esattamente dove li aveva messi Don Juan, il quale camminava davanti a lui. E doveva anche muoversi in sincronia con lui. Castaneda doveva visualizzare l’orma di Don Juan davanti a lui e calpestarla..
Un altro esercizio, sempre camminando, era quello di mantenere le mani in qualche posizione speciale, come per esempio curvare le dita, separare il medio dall’anulare, ecc., e poi camminare cercando di mantenere una visione periferica di 180 gradi, cercando cioè di guardare tutto simultaneamente, senza mettere a fuoco nessun punto in particolare.
Poi c’è la ‘camminata del potere’ (o l’andatura del potere). Non è qualcosa di facile e neppure da prendere alla leggera, dato che può risultare molto pericoloso. È una tecnica che dovrebbe fare emergere alcuni lati nagual del guerriero. Non è semplicemente un esercizio sportivo, è invece qualcosa da fare cercando di attivare solo il corpo, l’intelligenza nascosta in esso, e disattivare invece il cervello. Potremmo dire che è un esercizio per dissotterrare l’istinto nascosto in noi. Spesso don Juan faceva fare questo esercizio a Castaneda anche in questo caso in foreste, in passeggiate per i monti, insomma in suoli in salita o discesa, disseminati di sassi, piante, alberi, ostacoli un po’ ovunque. Prima di giorno, con un passo non troppo celere e su terreni pianeggianti; poi – pian piano – sempre più difficile: al tramonto o di notte, di corsa e su discese impervie. Castaneda doveva correre cercando di non cadere: come potete capire si tratta di un esercizio assai arduo. Egli doveva abituare il corpo a muoversi con agilità, senza forzarlo; doveva porsi in un punto intermedio tra la tensione e la scioltezza: cioè doveva essere sveglio, attento, attivo, ma con un sentimento di sobrietà e controllo. Poiché la marcia di potere e il dialogo interno non possono aver luogo simultaneamente, quest’ultimo non può che tacere completamente in questi esercizi. E infatti Castaneda viveva esperienze strane durante queste pratiche: a volte si sentiva trasformato in un animale, con una respirazione diversa, in un luogo insolito, senza il suo raziocinio, ma solo con l’arma del proprio istinto.
Un altro esercizio era guardare un oggetto sfocato, cioè incrociare gli occhi e fermarli ad un punto immaginario prima dell’oggetto stesso. Questo costringeva Castaneda a sforzarsi a mantenere questo tipo di sguardo sfocato e quindi faceva tacere il dialogo interno.
Un’altra pratica che Don Juan considerava di importanza assoluta, veramente fondamentale, era quella legata al sognare. ‘Sognare’ nel vocabolario di don Juan significa realizzare sogni in cui non si perde del tutto la coscienza e che cominciano quando ci rendiamo conto di stare sognando. La tecnica principale, quella di inizio, è sognare di guardarsi le mani. Nel momento nel quale ci addormentiamo dobbiamo ricordarci di trovare le nostre mani in sogno. Anche questa è un’esperienza estremamente difficile da realizzare. Ci sono persone che ci provano per anni e non ci riescono. Un grande aiuto proviene dalla vita quotidiana e dagli esercizi che possiamo fare in essa. Più non fare facciamo, più cerchiamo di bloccare il dialogo interno, più ci sarà facile riuscire a vedere le nostre mani mentre sogniamo. Una volta riusciti a ricordarci di guardare le nostre mani in sogno, e una volta addestrati a ricordarcene sempre più facilmente, il problema è addestrare la capacità di sostenere la visione. Spesso all’inizio Castaneda riusciva a guardarsi le mani, ma subito dopo cadeva nel torpore completo, ritornando alla totale inconsapevolezza del sogno. Allora, per addestrare questa capacità, bisogna cercare di mettere a fuoco gli oggetti della scena in cui ci troviamo. Mettere a fuoco non è facile, a volte le stesse nostre mani non lo sono. Un altro problema è che a volte gli oggetti si modificano sotto il nostro sguardo; in questo caso dobbiamo tornare alle nostre mani. Pian piano riusciremo ad abbracciare sempre più cose con lo sguardo, fino a vedere la scena intera. Successivo problema sarà quello di muoversi: cercheremo di muoverci con il nostro corpo, con le nostre gambe, ma non ci riusciremo. Perché? Perché il corpo del sogno non è quello fisico. Allora entra in gioco la volontà: nel sogno ci si muove con la volontà, la cui sensazione nasce sotto l’ombelico. Con la pratica si inizierà a muoverci con la volontà. A questo punto potremo decidere lo spazio e il tempo del nostro sogno. Cioè possiamo scegliere il luogo in cui vogliamo andare sognando. Bisognerà allenarci durante il giorno a concentrare l’attenzione al posto dove vogliamo andare durante il sogno: una pratica consigliabile è di non concentrarsi su tutto il luogo, ma magari su un oggetto presente in esso, una piazza, una via, una persona, ecc. Poi quando sogniamo, basta ricordarci di quel particolare e così il nostro corpo del sogno verrà attirato dall’attenzione che abbiamo depositato su di esso. Per il tempo, potremo decidere di sognare quel luogo di giorno o di notte, o di sognarlo l’ora corrispondente in cui stiamo effettivamente sognando. La cosa migliore è fare coincidere il tempo e lo spazio del sognare con il mondo della nostra vita quotidiana, per permettere al nagual e al tonal di intersecarsi, convivere.
Il sogno è mondo del nagual per eccellenza secondo Castaneda, è luogo di potere, luogo di incontri determinanti per il guerriero. È una specie di scuola efficace per la sua vita da sveglio. È addestramento per eccellenza della sua seconda attenzione e accesso alla terza attenzione, quella che fa interagire il lato destro e il lato sinistro, il tonal e il nagual. È il luogo per eccellenza dello sciamano: ma attenzione, stiamo parlando del ‘sognare’ inteso nel senso di don Juan. Cioè il sognare lucido, mentre invece l’altro sognare quello usuale fa parte anch’esso più del tonal che del nagual, più dell’ego che dell’energia, più del mondo ordinario che della realtà separata, più della storia personale che della seconda attenzione.